lunedì 11 gennaio 2010

Sguardo di bimbo.

Una foto tra le mani. Una foto che ho guardato decine di volte in passato, senza pensieri particolari.
O forse senza voler pensare? Forse.
Poi, un giorno, scopri che le tue figlie hanno la stessa età di quel marmocchio vestito in maniera agghiacciante che tenta di sorridere all'obbiettivo.
Realizzi in un istante che a) sei vecchio e b) quella stampa a colori (carta Kodak?) è un pezzo ormai unico e irripetibile, altro che file replicabili all'infinito e trasportabili in un amen da un capo all'altro del globo.
E una foto cessa di essere un oggetto e diventa un'astrazione metafisica. Un rifugio della memoria. Un reperto emozionale.
Era di aprile o di maggio? 1971? O forse 1972? Poco cambia.
Una primavera qualunque del pleistocene, comunque.
Bimbetti e bimbette, le seconde in netta maggioranza: e già qui sospiri e ti interroghi, a distanza di anni, sulle esplosive incongruità della vita che ti regala tutta l'abbondanza del mondo quando ancora non puoi apprezzarla, il pane senza i denti eccetera, e poi basta, ciccia, abbiamo scherzato. I denti senza il pane. Ma cazzo.
La foto, dicevo. Primavera inoltrata, che già le meravigliose vacanze estive ammiccano in fondo al corridoio.
In quel giardino claustrale, insospettabile al di qua delle mura perimetrali color "lasciate ogni speranza", incastonato al confine del salotto buono di quella Torino d'oltrepò così difficile da raccontare ai suoi giovani abitanti di oggi (era meglio, era peggio, era diversa e basta? e' meglio adesso, e mi fermo qui).
Un giardino dai profumi caleidoscopici, quando l'aria intiepidita risvegliava le gemme dormienti: tulipani, dalie, rose, viole, campanelle, stellaria. Un mix di aromi da andare giù di testa che ancora adesso, quando le mie narici ne intercettano i sentori, è capace di risvegliare sensazioni e ricordi a cluster bomb.
In mezzo al giardino, noi. I ragazzi del '63, che oggi ci accingiamo a caricarci sul groppone la 47sima primavera.
Bimbe e bimbi, belli come un'alba, composti come si può esserlo quando la tua maestra è una suora, puliti e ben pettinati tranne un paio di irriducibili, gli occhi grandi di stupore, di curiosità, timore, impazienza. Occhi pieni di quello a cui hai diritto a quell'età se sei nato fortunato: tutto. E noi eravamo nati fortunati.
Foto in bianco e nero, ricordi in bianco e nero. Ricordi congelati e sistemati in archivio, in attesa di un Big Chill che non ci sarebbe stato mai.
Curioso che in una città piccola come Torino non abbia mai ritrovato qualcuno di quei bimbi diventati nel frattempo donne e uomini, padri e madri: o forse li ho ritrovati senza riconoscerli, confusi sotto il make up che il tempo, volenti o nolenti, infligge a ciascuno.
Complice anche il fatto che di assai pochi conoscevo il cognome. Ci chiamavamo per nome: Laura, Adelaide, Pierpaolo, Franco, Anna. Piera, Paola, Maurizio, Antonio, Maria Teresa, Nicoletta. A che servivano i cognomi in quell'universo microscopico di stelle nascenti?
Vabbè. Ammettiamolo: se una cosa deve succedere, succederà. E lo farà con i tempi karmicamente previsti. Stop
E magari con un mezzo che mal si accoppia con l'aggettivo "karmico", ma tant'è.
Voglio dire, se Facebook riesce a smentire quel pregiudizio che da sempre ho nei suoi confronti - che se hai perso di vista qualcuno ci sarà un accidente di ragione o no? - rimettendomi in contatto con quel "non ancora" della mia vita consegnato al limbo dei ricordi sarò felice di essermi sbagliato. Come sempre, del resto, quando va in pezzi un pregiudizio.
A ricordarmi che l'amarcord è materia da maneggiare con delicatezza giungono le parole della mia antica compagna di classe, la contessina Anna: "..ho davanti agli occhi il tuo sguardo di piccolo sempre un po' perplesso, forse preoccupato..". No, dico.
Il mio era sguardo di bimbo, ma anche il tuo, Anna. Quale presagio di futuro erano in grado di scorgere in me i tuoi occhi di bimba? Colpito e affondato, comunque.
Punto di fuga numero uno: sono creature superiori, le donne.
Bisogna riconoscerlo. E accettarlo.
E ricordare le scialuppe, mica come sul Titanic.